Mindfulness

Nel numero 108 della rivista mensile l’Altra Medicina è presente un mio articolo dal titolo Mindfulness, nel quale presento alcuni dei modi in cui l’aspettativa influenza gli eventi.

Può la meditaziona aiutare a migliorare lo stato psicofisico?

Di seguito il testo:

Mindfulness

Il dizionario etimologico del grande linguista Giacomo Devoto (1966) ci informa che sia “medico” che “meditazione” derivano entrambi del lemma latino “mederi (riflettere, curare, prendersi cura). Curiosità etimologica che introduce egregiamente questo articolo.

Lo psicologo americano Daniel Goleman (1996) ritiene che, tecnicamente parlando, la meditazione consista nello sforzo consapevole di mantenere l’attenzione costante su uno specifico oggetto di meditazione, che può essere sia interno al soggetto, come il proprio respiro o i propri pensieri, sia esterno, ad esempio dei suoni. Il focus attentivo è infatti il denominatore comune di pratiche meditative afferenti a sistemi di pensiero molto distanti tra loro: sia ad antiche tradizioni come l’Induismo, il Taoismo, il Buddismo, lo Yoga, lo Zen, la Cabala ebraica, l’Esicasmo cristiano o il Sufismo mussulmano; sia a insegnamenti di maestri moderni come Georges Ivanovič Gurdjieff, Jiddu Krishnamurti, o Chandra Mohan Jain (meglio noto col nome di Osho Rajneesh); sia a tecniche conosciute col nome di Meditazione Trascendentale e Mindfulness. A seconda della tradizione di riferimento, la pratica meditativa può svolgersi: seduti o in piedi; immobili, camminando o danzando; in posizione comoda o in complicate asana (specifiche posture); da soli o in gruppo; in silenzio, recitando dei mantra, o cantando; svuotando la mente, visualizzando determinate immagini, o semplicemente osservando il normale flusso dei pensieri; in momenti ad essa dedicati, in occasione di rituali, o durante lo svolgimento delle normali attività quotidiane; e può focalizzare l’attenzione su aspetti diversi: dall’osservazione del respiro, alle sensazioni corporee, a specifiche questioni, e a molti altri oggetti di meditazione.

Senza entrare nelle specificità di ognuna delle tradizioni che prevedono la pratica meditativa, si può distinguere tra quelle che utilizzano l’attenzione per sviluppare la concentrazione, la consapevolezza, o entrambe. La seguente tabella, tratta dal già citato lavoro di Goleman, riporta una classificazione basata sui distinti obiettivi che la pratica meditativa si propone in alcune delle principali religioni e tradizioni culturali.

Tradizione

Tecnica

Tipo

Bhakti

Japa

Concentrazione

Cabala

Kavvanah

Concentrazione

Esicasmo

Preghiera del cuore

Concentrazione

Sufi

Zikr

Concentrazione

Yoga Raja

Samadhi

Concentrazione

Med. Trascendentale

Med. Trascendentale

Concentrazione

Yoga Kundalini

Yoga siddha

Concentrazione

Buddismo tibetano

Vipassana

Integrata

Zen

Zazen

Integrata

Gurdjieff

Ricordo di sé

Consapevolezza

Krishnamurti

Conoscenza di sé

Consapevolezza

Buddismo Theravada

Vipassana

Integrata

Classificazione di alcune pratiche meditative in relazione allo scopo prefisso. Tratto da: The Meditative Mind: The Varieties of Meditative Experience (Goleman, 1996).

Secondo la ricostruzione della storica di Harvard Anne Harrington (2009), la meditazione giunge a conoscenza del grande pubblico occidentale da prima tramite notizie sulle celebrità dello spettacolo e in seguito grazie alla divulgazione dei primi risultati ottenuti dai laboratori di neuroscienze. Nel 1968 i componenti dei Beatles soggiornano nell’ashram del guru indiano conosciuto col nome di Maharishi Mahesh Yogi (alla nascita, Mahesh Prasad Varma), ideatore della Meditazione Trascendentale. Il loro esempio è presto seguito da altre celebrità, come le attrici statunitensi Jane Fonda e Mia Farrow, così la popolazione, costantemente informata dai media, inizia ad interessarsi alla meditazione. Col diffondersi del fenomeno anche alcuni scienziati si domandano se la pratica meditativa produce dei risultati reali e misurabili. Tra i primi, l’allora studente di psicologia all’University of California, Robert Keith Wallace (1970), misura la risposta fisiologica di un gruppo di praticanti di Meditazione Trascendentale, e scrive su Science che durante la meditazione, il consumo di ossigeno e la frequenza cardiaca sono diminuiti, la resistenza cutanea è aumentata, e l’elettroencefalogramma ha mostrato cambiamenti specifici in alcune frequenze.

Nel 1979, all’University of Massachusetts Medical Center, il biologo americano Jon Kabat-Zinn, studioso di yoga e di meditazione buddista, inizia una ricerca sul controllo del dolore, tramite una tecnica di riduzione dello stress, basata sulla consapevolezza non giudicante del momento presente (Kabat-Zinn et al., 1985). La tecnica sviluppata per lo studio, la Mindfulness-based stress reduction (MBSR), traduce in un linguaggio moderno la meditazione buddista da cui deriva e, pur conservandone l’essenza, la svincola dai fattori culturali e religiosi ad essa associati, rendendola così più facilmente fruibile dai praticanti occidentali. Dopo decenni di studi basati sul protocollo MBSR e sulla MBCT1, la psicologa americana Ruth Bear (2011) scrive che i trattamenti basati sulla mindfulness forniscono miglioramenti clinicamente significativi per le persone che soffrono di molti problemi importanti, tra cui depressione, ansia, dolore e stress. Mentre una recente revisione sistematica (Gotink et al., 2015) afferma che le terapie basate sulla mindfulness risultano efficaci per alleviare i sintomi, sia mentali che fisici, nel trattamento coadiuvante del cancro e delle malattie cardiovascolari, nel dolore cronico, nella depressione, nei disturbi d’ansia e nella prevenzione

Il 1979 è anche l’anno del primo viaggio negli Stati Uniti del Dalai Lama, leader spirituale e politico del Tibet, che nell’occasione trascorre tre giorni alla Harvard University. Ad accoglierlo c’è anche il cardiologo Herbert Benson, allora interessato a studiare sperimentalmente l’effettiva efficacia dell’antica pratica tibetana g-Tummo. Tecnica che, secondo le testimonianze, consentirebbe a dei monaci tranquillamente seduti al freddo himalayano di sviluppare un calore sufficiente ad asciugare delle lenzuola bagnate poste sulle loro spalle nude. Lo studio, condotto due anni più tardi in India, a Dharamsala, e pubblicato su Nature (Benson et al., 1982), rileva la capacità di monaci esperti meditatori di incrementare la temperatura delle dita di mani e piedi fino a 8,3°C. Una ricerca più recente (Kozhevnikov et al. 2013) osserva invece la capacità della tecnica di innalzare fino a 6.8°C la temperatura periferica e fino a 2.2°C quella corporea (gli aumenti massimi registrati). Incrementi certamente meno impressionanti di quelli riferiti dalle testimonianze non sperimentali ma nondimeno degni di interesse. La speciale tecnica respiratoria, accompagnata da contrazioni isometriche durante le apnee, e da specifiche visualizzazioni, è composta da due momenti distinti. Il primo, finalizzato alla creazione di calore interno, si basa su una respirazione forzata e vigorosa, abbinata all’immagine mentale di una fiamma che sorge all’altezza dell’ombelico e si innalza ad ogni respiro fino alla sommità del capo. Il secondo, indirizzato al mantenimento del calore, è ottenuto con una respirazione senza sforzo e con la visione dell’intero corpo che si è riempito di calore e di beatitudine. Lo studio distingue sperimentalmente tra gli effetti prodotti dalle diverse fasi e conclude che, se i risultati fossero confermati da successivi studi, tale tecnica aprirebbe a una vasta gamma di possibili interventi medici e comportamentali.

Nel 2012 un gruppo di ricercatori olandesi si interessa alle imprese del loro connazionale Wim Hof, noto per aver trascorso quasi due ore immerso in una vasca di ghiaccio, e per altri record legati alla sua straordinaria capacità di sopportare temperature estremamente basse. Il recordman olandese afferma di riuscirci grazie ad una particolare tecnica meditativa, da lui sviluppata, che gli consente di aumentare l’attività del sistema nervoso ortosimpatico e diminuire la risposta immunitaria. Un primo studio (Kox et al., 2012) sul soggetto conferma nelle condizioni sperimentali un significativo aumento del rilascio di catecolamine e cortisolo ed una ridotta risposta immunitaria sia ex vivo che in vivo. Poiché la capacità di ridurre volontariamente la risposta immunitaria potrebbe aiutare i pazienti affetti da malattie autoimmuni, Kox e collaboratori si domandano se la tecnica sia legata a peculiari caratteristiche del soggetto o sia viceversa insegnabile anche ad altri individui. Così una seconda ricerca (Kox et al., 2014) esplora tale possibilità assegnando casualmente 24 soggetti alla condizione di controllo o ad un allenamento basato sulla tecnica sviluppata da Hof, e da lui stesso guidato, della durata di dieci giorni. I soggetti del gruppo sperimentale mostrano un aumento fortemente significativo del rilascio di epinefrina, l’induzione di una precoce risposta antinfiammatoria indotta dalla citochina IL-10, e la conseguente riduzione della risposta proinfiammatoria legata alla risposta immunitaria innata; dimostrando un’acquisita capacità di controllo sul sistema nervoso ortosimpatico e sul sistema immunitario.

Bibliografia

Baer, R. A. (2011). Measuring mindfulness. Contemporary Buddhism, 12(1), 241–261.

Benson, H., Lehmann, J. W., Malhotra, M. S., Goldman, R. F., Hopkins, J., & Epstein, M. D. (1982). Body temperature changes during the practice of g Tum-mo yoga. Nature, 295(5846), 234–236.

Devoto, G. (1966). Avviamento alla etimologia italiana: dizionario etimologico. Firenze: Le Monnier.

Goleman, D. (1996). The Meditative Mind: The Varieties of Meditative Experience (Subsequent edition). New York: Tarcher.

Gotink, R. A., Chu, P., Busschbach, J. J. V., Benson, H., Fricchione, G. L., & Hunink, M. G. M. (2015). Standardised Mindfulness-Based Interventions in Healthcare: An Overview of Systematic Reviews and Meta-Analyses of RCTs. PLoS ONE, 10(4).

Harrington, A. (2009). The Cure Within: A History of Mind-Body Medicine. New York: W. W. Norton & Company.

Kabat-Zinn, J., Lipworth, L., & Burney, R. (1985). The clinical use of mindfulness meditation for the self-regulation of chronic pain. Journal of Behavioral Medicine, 8(2), 163–190.

Kox, M., Eijk, L. T. van, Zwaag, J., Wildenberg, J. van den, Sweep, F. C. G. J., Hoeven, J. G. van der, & Pickkers, P. (2014). Voluntary activation of the sympathetic nervous system and attenuation of the innate immune response in humans. Proceedings of the National Academy of Sciences, 111(20), 7379–7384.

Kox, M., Stoffels, M., Smeekens, S. P., van Alfen, N., Gomes, M., Eijsvogels, T. M. H., Hopman, M. T. E., van der Hoeven, J. G., Netea, M. G., & Pickkers, P. (2012). The influence of concentration/meditation on autonomic nervous system activity and the innate immune response: a case study. Psychosomatic Medicine, 74(5), 489–494.

Kozhevnikov, M., Elliott, J., Shephard, J., & Gramann, K. (2013). Neurocognitive and Somatic Components of Temperature Increases during g-Tummo Meditation: Legend and Reality. PLoS ONE, 8(3), e58244.

Wallace, R. K. (1970). Physiological Effects of Transcendental Meditation. Science, 167(3926), 1751–1754.

1Mindfulness-based Cognitive Therapy

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