Simulare la realtà

Nel numero 123 della rivista mensile l’Altra Medicina è presente un mio articolo dal titolo “Simulare la realtà”, nel quale presento alcune riflessioni sociali

 Come si distingue la realtà da una simulazione?

Di seguito il testo:

Simulare la realtà

Recentemente ho visto delle immagini raffiguranti il set di una versione bollywoodiana di Star Wars. Così almeno dichiarava la didascalia. Nei commenti poi veniva chiarito che si trattava di uno scherzo, realizzato con Midjourney, un programma di intelligenza artificiale che crea immagini a partire da un breve testo, chiamato “prompt”. La circostanza mi ha colpito molto. Le immagini erano chiaramente e volutamente ridicole ma non inverosimili: un ipotetico film indiano anni ‘70 ispirato a Star Wars avrebbe potuto non discostarsene poi molto. Pertanto, in che modo, in assenza di un’analisi approfondita, è oggi possibile riconoscere una fotografia da un’immagine ispirata dalla fantasia? Fin qui però niente di nuovo, da anni siamo abituati all’impossibilità di riconoscere la veridicità di un’immagine, e più recentemente anche di un video. Ciò che mi ha veramente colpito è che oggi, a partire da un breve testo, sia possibile creare delle immagini, in pochi secondi e in modo completamente automatizzato. Saperlo mi ha fatto riflettere e di seguito condivido alcuni aspetti che ritengo siano psicologicamente e socialmente rilevanti.

Il dibattito su Midjourney, e sull’impatto sociale di programmi similari, è già attivo da mesi e sul web è possibile leggere le opinioni di chi principalmente si preoccupa del significato di opera d’arte, dei diritti di autore e di questioni relative1. Io tuttavia ho intravisto altre possibili conseguenze. Il programma in questione migliora le sue capacità grafiche di giorno in giorno. Ogni suo uso ne incrementa l’efficienza (il che è alla base del funzionamento di una AI), già oggi sono milioni gli utilizzatori abituali e grazie a ciò la versione attuale del software produce immagini molto più realistiche di quanto fosse possibile con la precedente. In pochi mesi uscirà una nuova release che migliorerà ulteriormente la qualità e tutto fa credere che nel giro di pochissimo tempo la verosimiglianza del risultato sarà totale. Visti gli incredibili progressi tecnologici degli ultimi anni, appare probabile che non si dovrà attendere molto prima che con un’analoga tecnologia sia possibile creare anche una serie di immagini che simulino il movimento, dialoghi e suoni ambientali, ovvero un video. L’input testuale facilmente può divenire verbale e all’aumentare della potenza di calcolo del programma il processo diverrebbe talmente rapido da essere percepito come in tempo reale, o quantomeno con una latenza minima. In sostanza, oggi appare estremamente probabile che nel prossimo futuro chiunque potrebbe semplicemente chiedere a un’applicazione di creare un flusso video conforme ai suoi desideri e potenzialmente continuo. Inoltre, anche se ancora non sappiamo ciò che Neuralink (l’interfaccia neurale in procinto di essere impiantata sui primi esseri umani) renderà possibile, già si sa che un’applicazione potrà essere comandata dal pensiero e – da quanto si conosce del funzionamento del cervello – si può presumere che potrebbe perfino riuscire a convogliare un flusso video direttamente nella mente. Nel genere fantascienza simili ipotesi sono state raffigurate già da decenni, nondimeno ciò che solo qualche anno fa era fantascientifico adesso è divenuto non solo futuribile ma, quantomeno in alcune sue parti, solo questione di (poco) tempo.

Forme rudimentali del cosiddetto “metaverso”, nome dato a una rete di mondi virtuali tridimensionali basati su tecniche di Realtà Aumentata (informazioni sovrapposte alla percezione della realtà), di Realtà Virtuale (simulazioni mediate da visori, auricolari, guanti o cybertuta) o di “social virtual worlds”, come ad esempio Horizon Worlds di Meta (Facebook), sono già online. Certo, al momento si tratta ancora di sistemi scarsamente immersivi, e a ciò presumibilmente si deve l’ancora scarsa diffusione, ma col loro sviluppo è realistico attendersi un impatto sociale non dissimile da quello prodotto in questi anni dai social che, divenuti in pochi anni diffusissimi, hanno stravolto molte delle nostre vecchie abitudini relazionali. Ancor più profonda potrebbe però essere l’influenza di tecnologie in grado di alterare la percezione stessa di ciò che chiamiamo realtà. Cosa infatti differenzierebbe dalla realtà una simulazione che fosse talmente realistica da apparire reale?

Inoltre, se in tale simulazione fosse possibile trascorrere l’intera vita, essa sarebbe non solo percepita come reale ma costituirebbe di fatto l’unica realtà conosciuta. L’idea non è certo nuova e sue antiche forme risalgano al pensiero gnostico, a Platone e ancor più all’idea di intrinseca illusorietà dell’apparenza fenomenica, in sanscrito māyā, propria di diverse dottrine filosofiche e religiose indiane. In tempi moderni si deve però a Nick Bostrom (2003) l’ipotesi dell’esistenza di una tecnologia capace di generare una simulazione globale nella quale, a nostra insaputa, già potremmo essere immersi. Il filosofo svedese argomenta che se lo sviluppo tecnologico può raggiungere un livello tale da simulare un intero mondo – e a suo avviso, vista la crescita esponenziale dei progressi in tale campo, ciò diverrà possibile in un futuro non troppo remoto – allora niente ci autorizza a escludere che tale traguardo sia già stato raggiunto in passato e che tutti noi si viva al suo interno. Ai più la teoria sembrerà alquanto bizzarra, eppure il noto imprenditore Elon Musk l’ha popolarizzata giungendo perfino a dichiarare che ritiene ci sia al più una possibilità su miliardi che così non sia2. Pur non arrivando a condividere tale stima va comunque riconosciuto che l’ipotesi ha una sua logica e soprattutto che, a meno di trovare un modo di testarla, accoglierla o rigettarla non è che una questione di preferenza personale.

Ad ogni modo, l’eventualità che un software di intelligenza artificiale possa un giorno riuscire a realizzare un flusso video a partire da alcune parole, si differenzia dallo scenario preso in considerazione da Bostrom per vari aspetti e principalmente perché si tratterebbe di una realtà virtuale creabile su misura per e da ogni utilizzatore. Una sorta di sogno lucido tecnologico, o di trip, con analogo se non superiore grado di immersività, personalizzabile in ogni suo aspetto semplicemente richiedendo al programma quanto desiderato. Uno scenario che al contempo affascina e spaventa e che, soprattutto, suscita numerosi interrogativi su cosa significherebbe una possibile esistenza trascorsa, in parte o perfino del tutto, in una “bolla virtuale” personalizzabile, talmente realistica da risultare per il soggetto indistinguibile dalla realtà. Un “gioco” che potrebbe diventare fuga dalla realtà, ben più di quanto già lo consentano alcuni mezzi digitali, e col potenziale di indurre una dipendenza superiore a quella provocata da molte droghe. Come resistere al fascino di un’esperienza iperrealistica creata su misura per corrispondere a qualsiasi nostro desiderio, senza che ciò comporti i rischi derivanti dall’assunzione di sostanze o quelli invece sempre presenti nella vita reale?

Ma si tratterebbe veramente di un passatempo esente da rischi? In psicologia si sa che la nostra motivazione ad agire è guidata dalle emozioni. Siano esse di speranza, di paura, di felicità o di senso di colpa, associate a una narrazione edonista, spirituale, altruista, utilitaristica, di ricerca di avventura o di sicurezza, ciò che ci emoziona attiva il nostro interesse e ci spinge o meno all’azione. Le considerazioni razionali possono consolidare tale spinta ma ben difficilmente sono in grado di contrapporvisi, a meno di rafforzare emozioni antagoniste. Fin da bambini si va a scuola – e poi da adulti a lavoro – o perché ci piace o perché si temono le conseguenze che deriverebbero del non farlo; ci leghiamo affettivamente ad altre persone per via delle emozioni che ciò ci provoca, a volte in antitesi a qualsiasi valutazione razionale, e perfino nei casi in cui al contrario la ragione sembrerebbe motivare l’interruzione di un rapporto è sempre a ben vedere un’emozione che causa la scelta. Oggi che è diventato comune trascorrere molto tempo sui social ed emozionarsi per un like, o risentirsi di un commento fatto da qualcuno che potremmo anche non avere mai neppure conosciuto, a poco serve ricordarsi che “non è la realtà”, poiché le emozioni che ci suscita sono reali, e questo è ciò che importa. Per un giovane “hikikomori”, come vengono chiamate le persone che volontariamente non escono mai di casa, e talvolta di camera, ciò che vede nello schermo del computer è più rassicurante, interessante e in definitiva “reale” di quanto ritiene sarebbe la sua vita fuori dalla porta di casa. Se contraltare della vita reale, con i suoi rischi e le sue inevitabili frustrazioni, dovesse un giorno essere la realtà virtuale sopra descritta, quanti potrebbero essere i futuri hikikomori?

Una fuga di massa dalla realtà che, per altro, avrebbe come meta una simulazione realizzata da un software non solo di proprietà privata ma il cui funzionamento sarebbe oscuro perfino ai suoi stessi sviluppatori3. Un surrogato di realtà creato da una macchina fa facilmente venire alla mente film come Matrix e apre a risonanze altrettanto fantastiche, come ad esempio la visione gnostica di un falso dio (il Demiurgo) che, per imprigionare le anime umane e impedirgli di tornare alla vera e divina realtà, avrebbe creato di quest’ultima una copia deforme. Comune a molte antiche tradizione e moderni esoterismi è l’idea che “le forze del male” non abbiano la divina capacità di creare ma solo quella di copiare e deformare. La vita nella caverna platonica non sarebbe che un lontano riflesso della vera luce e un prigioniero che, liberatosi, tornasse per spronare i suoi ex compagni a fare altrettanto godrebbe di ben poca fortuna: la comodità e l’abitudine a una “brutta copia” la fa spesso dai più preferire all’originale. Scrivendo rifletto però che “brutta copia” può avere il significato letterale, cui mi riferivo, di copia mal fatta, ma anche quello di copia incompleta che precede quella definitiva, il che mi suggerisce di ripercorrere l’analogia con la visione gnostica anche in altra direzione. Se può esistere “un gioco” in grado di simulare la realtà, farne esperienza, o anche solo saperlo, può rendere maggiormente intuibile l’idea che ciò che chiamiamo realtà sia a sua volta un gioco, con dinamiche similari per alcuni aspetti ma dissimili per altri, il gioco divino, in sanscrito chiamato “līlā”, di cui parla la tradizione indiana.

Chissà, non mi addentro oltre in questa perigliosa analogia. Certo è che, come ogni crisi è al contempo difficoltà e opportunità, similmente ogni analogia, come una scala, può essere usata sia per discendere che per ascendere, sta a noi scegliere in quale direzione percorrerla. Come sempre però, una scelta che non si limiti a seguire l’esempio della massa dovrebbe essere consapevole e per divenirlo abbisogna di conoscere, di informarsi e, soprattutto, di riflettere. Anche su temi come questo che, vista la potenziale influenza su tutti noi, non dovrebbero coglierci impreparati, né essere liquidati come di non proprio interesse.

    1. Bibliografia

Bostrom, N. (2003). Are We Living in a Computer Simulation? The Philosophical Quarterly, 53(211), 243–255.

 

3I software di intelligenza artificiale, una volta operativi, correggono e modificano la propria programmazione sulla base di un meccanismo di retroazione il cui funzionamento è indipendente dall’intervento umano.

Chiama
× Chat