Nel numero 113 della rivista mensile l’Altra Medicina è presente un mio articolo dal titolo “L’obbedienza non è più una virtù”, nel quale presento alcune riflessioni sociali
Le misure liberticide adottate dalla attuale compagine governativa somigliano sempre di più ai provvedimenti messi in atto dalle dittature più sanguinarire del secolo scorso
Di seguito il testo:
L’obbedienza non è più una virtù
Il lettore accorto avrà riconosciuto nel titolo di questo articolo la tesi di Don Lorenzo Milani che l’obbedienza a ordini ingiusti non può essere considerata una virtù, né può lasciare all’esecutore la coscienza pulita. Nelle sue parole occorre: “Avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù, ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutto” (Milani, 1965, p. 51). Per avere difeso l’obiezione di coscienza Don Milani fu accusato di apologia di reato da un gruppo di ex combattenti e, assolto in primo grado, si risparmiò la sentenza in appello solo in quanto nel frattempo deceduto. Diversamente, al direttore del giornale che “si era permesso di pubblicarlo” toccarono cinque mesi di reclusione. La storia si ripete e io, nell’affermarlo, non posso che augurarmi di non incorrere in un processo, giacché nella triste era del Pensiero Unico temo non ci sia molto da sperare nella comprensione della magistratura.
Che alla radice del male ci fosse il conformismo e il rispetto delle regole, “La banalità del male” di chi “stava solo facendo il suo dovere” già lo aveva osservato Hannah Arendt (1963), relativamente al processo a Eichmann. Eppure, oggi, che in Italia (e purtroppo non solo) assistiamo alle più vergognose violazioni dei diritti umani dai tempi del fascismo, la storia si ripete e i solerti controllori che impediscono ai cittadini privi di lasciapassare di accedere ai più elementari servizi (educazione, trasporti, ristorazione, negozi, banche, uffici), e perfino negano il diritto al lavoro, per lo più si limitano ad affermare che “queste sono le regole”. Al più qualcuno prova a argomentare che è ben diverso l’essere privati dei propri diritti a causa dell’appartenenza per nascita a un gruppo perseguitato (ebrei o persone di colore che siano), rispetto al perderli per esercitare la scelta di non lasciarsi iniettare un farmaco, la cui somministrazione sarebbe ufficialmente e almeno per il momento per molti ancora non obbligatoria. Poco importa ai loro occhi che il regolamento europeo 2021/953 riporti testualmente che “It is necessary to prevent direct or indirect discrimination against persons who are not vaccinated, for example because of medical reasons, because they are not part of the target group for which the COVID -19 vaccine is currently administered or allowed, such as children, or because they have not yet had the opportunity or chose not to be vaccinated.”1 (il testo va citato in inglese perché nella traduzione italiana qualcuno ha pensato bene di dimenticarsi dell’ultima frase…). Pochissimi beninteso si sono presi il disturbo di leggere il testo citato e per i pochi che ne hanno almeno sentito parlare la possibilità, finché c’era (…), di ripristinare per quarantotto ore il proprio status di cittadino non avrebbe comportato discriminazione alcuna. Nella contorta mente di chi ha a priori deciso che le imposizioni sono giuste e che non c’è assolutamente niente di dittatoriale nel governare a suon di ricatti e di minacce, sembra che buona parte della realtà sia scotomizzata. Alcuni dei solerti difensori del regime giungono perfino a negare l’aggravante che i farmaci sono ancora in fase sperimentale, con tutto ciò che eticamente e legalmente ne deriva (Trattato di Oviedo, Codice di Norimberga).
A beneficio di tali soggetti facciamo quindi chiarezza. Iniziamo dalla FDA statunitense perché, con trasparenza decisamente superiore a quella mostrata in Europa, prevede due distinte diciture accanto alla scheda di ogni farmaco. Dei tre farmaci utilizzati negli Stati Uniti, Jansenn e Moderna sono commercializzati sotto “Emergency Use Authorization”, mentre il vaccino Comirnaty (Pfizer) è stato approvato il 23 agosto 20212. Negli Stati Uniti, esiste quindi una distinzione tra “farmaco autorizzato” e “farmaco approvato”, che nella dicitura europea e italiana si nasconde tra le righe di tre distinte autorizzazioni: “under exceptional circumstances”, “Conditional marketing authorisation”, “Standard marketing authorisation”3. Peccato che così sia molto più difficile rilevarne l’effettivo status, tant’è che sul sito dell’AIFA, sia nella scheda della Tachipirina (per fare un esempio) che su quella del vaccino Comirnaty c’è scritto solamente “autorizzato”4. Basta però il piccolo sforzo in più di cliccare su “Riassunto delle caratteristiche del prodotto”5 e scorrere fino all’Allegato 2, lettera E, per leggere testualmente: “obbligo specifico di completare le attività post-autorizzative per l’autorizzazione all’immissione in commercio subordinata a condizioni” e tra queste: “Per confermare l’efficacia e la sicurezza di Comirnaty, il titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio deve fornire la relazione finale sullo studio clinico relativa allo studio C4591007 randomizzato, controllato verso placebo, in cieco per l’osservatore” entro luglio 2024. Si scopre così che il farmaco ha un’autorizzazione condizionata che, come si legge sul sito dell’EMA, è concessa “on the basis of less comprehensive data than normally required”6 e “is granted in the likelihood that the sponsor will provide such data within an agreed timeframe”7. Bello che l’agenzia abbia fiducia nella probabilità che tali dati siano forniti, ma resta il fatto che tali dati non sono ancora stati forniti. E quali sono questi dati? Dal riferiremento a “studio randomizzato contro placebo” si può evincere che si tratta degli studi clinici di Fase 3, i cui dati non sono appunto ancora disponibili. L’autorizzazione condizionata permette tuttavia il commercio e con esso anche l’inizio di quella che è conosciuta come fase 4, o “sorveglianza post-marketing” che il sito dell’AIFA8 così definisce: “È la fase della sperimentazione clinica che include gli studi condotti dopo l’approvazione del farmaco nell’ambito delle indicazioni approvate e in piena osservanza di quanto contenuto nel Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto (RCP); è detta della “sorveglianza post marketing” perché viene attuata dopo l’immissione in commercio. In questa fase, che può durare qualche anno, si acquisiscono ulteriori e nuove informazioni e vengono valutate le reazioni avverse più rare, quelle che negli studi clinici non potevano emergere, ma che con l’uso di massa del nuovo farmaco possono diventare rilevabili.” Si tratta cioè della famosa farmacosorveglianza, che dovrebbe essere attiva e non passiva e osteggiata come avviene in questo assurdo paese.
Ma anche se i farmaci in questione non fossero (come invece sono!!) ancora in fase sperimentale, davvero non dovrebbe sussistere a riguardo il diritto alla libera scelta? Già li sento, i soliti solerti “bravi cittadini”, sostenere che è più che legittimo che uno stato obblighi la propria popolazione a vaccinarsi, come ad esempio accade per l’epatite B, il cui vaccino è obbligatorio dal 1991. Peccato che persone così colte e informate si dimentichino inesorabilmente che la legge in questione fu sostenuta dall’allora ministro della salute Francesco De Lorenzo e dal responsabile del settore farmaceutico Duilio Poggiolini, entrambi poi condannati alla reclusione proprio per avere ricevuto in quegli anni ingenti tangenti dalla case farmaceutiche. Strano paese quello in cui i politici corrotti sono condannati ma le leggi derivanti dalla loro corruzione sono sempre lì; strano popolo quello che non impara niente neppure dalla sua storia recente.
Per altro, riprendendo la similitudine tra le misure liberticide dell’attuale governo e quelle del regime fascista, quasi nessuno sembra notare che il paragone più calzante non è con le persecuzione fasciste subite dagli ebrei, bensì con le limitazioni derivanti a chi non era iscritto al partito fascista. La tessera del partito non è mai stata obbligatoria, però nel 1931 furono espulsi dalle università i docenti che non giurarono fedeltà al Fascismo, nel 1932 l’iscrizione al partito fu decretata requisito necessario per poter partecipare ai concorsi pubblici,e nel 1938 divenne condizione per qualsiasi incarico pubblico. Accanto agli ebrei (anche essi espulsi nel 1938 delle funzioni pubbliche, oltre che dalle scuole) esisteva una classe di cittadini di serie B, discriminati dal regime perché non proni al pensiero dominante. All’epoca, ai non ebrei, per essere riabilitati a cittadini di serie A era richiesta l’adesione, anche solo formale, al partito unico. Oggi, che di partiti ce ne sono anche troppi, l’adesione richiesta è al Pensiero Unico e la formalità non è più sufficiente. Oggi la fedeltà va dimostrata lasciandosi iniettare qualsiasi cosa ci venga richiesto e assumendosi perfino la responsabilità per ogni eventuale danno derivante. In tale confronto l’attuale governo non fa certo una bella figura, minacciando e ricattando tutti quei cittadini che non hanno già aderito alla vaccinazione. A chi cede al ricatto è richiesto il consenso per la violazione del suo proprio corpo, prezzo ben superiore alla formale adesione a un partito; a chi non intende cedere è invece imposta la rinuncia a molti dei diritti più elementari, molti di più di quelli preclusi a chi non si piegava a iscriversi al partito fascista.
Tutto ciò in uno stato che ha la sfacciataggine di dichiararsi democratico. Le modalità coercitive in atto (minacce e ricatti) non sono certo da stato democratico. Appare sconcertante che oggi si rischi ripercussioni anche solo ad esprimersi contrari al diritto (che qui non è in discussione, sia chiaro che non è questo il tema) di un omosessuale ad adottare dei figli e al contempo perfino i più alti rappresentanti delle istituzioni si sentano legittimati a istigare all’odio e alla violenza contro chi nutre anche solo dei dubbi sulla narrativa dominante. Un governo che raccoglie il consenso (più o meno libero) della maggioranza dei suoi cittadini e opprime una minoranza che la pensa diversamente non è una democrazia ma – la storia lo insegna chiaramente – un totalitarismo. Bene ricordare a chi non ne ha memoria che, diversamente da quanto può accadere per le dittature, i totalitarismi, come le democrazie, si basano sul sostegno popolare. Ciò che li differenzia è il rispetto mostrato, o meno, nei confronti dei diritti e delle opinioni di tutte le minoranze, non il consenso della maggioranza che la propaganda, sia passata che presente, riesce facilmente a ottenere sfruttando tecniche ben note alla psicologia delle persuasione (Tangocci, 2020).
Così, con ipocrisia massima, e in perfetta neolingua orwelliana, oggi si vorrebbe far passare come “strumento di libertà” proprio quel vergognoso lasciapassare che priva chi non intende piegarsi a ricatti dei suoi diritti fondamentali. Alcuni (presumibilmente i più ingenui) abboccano a questa vile retorica; altri vi si adeguano per opportunismo; altri si conformano acriticamente; altri cedono a minacce e ricatti; altri – infine – obbediscono, credendolo perfino loro dovere civico. Ebbene, no, l’obbedienza non è una virtù, tutt’altro. Sull’obbedienza della cittadinanza si sono fondati non solo il Fascismo e il Nazismo ma anche ogni altra atrocità che può darci motivo di vergognarci della specie cui apparteniamo. Con tale consapevolezza invito ognuno, tutte le mattine guardandosi allo specchio, a domandarsi con estrema sincerità se il proprio comportamento corrisponde esattamente all’esempio che vuole lasciare ai propri figli o nipoti e che avrebbe voluto gli fosse stato lasciato dai propri genitori e nonni. Se la risposta è sì, non ho altro da aggiungere. Per tutti gli altri: non perdete questa occasione, per non rischiare in futuro di dovervi vergognare di voi stessi.
Bibliografia
Arendt, H. (1963). Eichmann in Jerusalem: A Report on the Banality of Evil. New York: Viking Press.
Milani, L. (1965). L’obbedienza non è più una virtù. Firenze: Libreria Editrice Fiorentina.
Tangocci, B. (2020). La manipolazione dell’informazione ai tempi del Coronavirus. Piesse (www.rivistapiesse.it) 6 (9-1). http://rivistapiesse.it/store/articoli/Tangocci_manipolazione.pdf
1https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/HTML/?uri=CELEX:32021R0953
2https://www.fda.gov/emergency-preparedness-and-response/coronavirus-disease-2019-covid-19/covid-19-vaccines
3https://www.ema.europa.eu/en/human-regulatory/marketing-authorisation/conditional-marketing-authorisation
4https://farmaci.agenziafarmaco.gov.it/bancadatifarmaci/farmaco?farmaco=049269
5https://farmaci.agenziafarmaco.gov.it/aifa/servlet/PdfDownloadServlet?pdfFileName=footer_005389_049269_RCP.pdf&retry=0&sys=m0b1l3
6https://www.ema.europa.eu/en/glossary/conditional-marketing-authorisation
7https://www.ema.europa.eu/en/human-regulatory/marketing-authorisation/conditional-marketing-authorisation
8https://www.aifa.gov.it/sperimentazione-clinica-dei-farmaci