La pelle nell’incontro tra psiche e soma

Nel numero 116 della rivista mensile l’Altra Medicina è presente un mio articolo dal titolo “La pelle nell’incontro tra psiche e soma”, nel quale presento alcune riflessioni sociali

La pelle rappresenta il confine tracciato rispetto e ciò che è altro da sé, è il limite che il nostro corpo non può superare e, in quanto tale, è anche il punto di incontro con gli altri. Vediamola più da vicino.

Di seguito il testo:

La pelle nell’incontro tra psiche e soma

La pelle rappresenta il confine tracciato rispetto e ciò che è altro da sé, è il limite che il nostro corpo non può superare e, in quanto tale, è anche il punto di incontro con gli altri. La pelle infatti, oltre a essere l’organo più esteso del nostro corpo, è anche l’unico (insieme a capelli e unghie e oltre agli occhi aperti) che è direttamente accessibile al tatto e alla vista.

Infatti si può dire che la pelle è il biglietto da visita con cui ci presentiamo al mondo. Il nostro primo canale comunicativo che sappiamo sarà notato ancora prima che apriamo bocca per presentarci. Curioso che anche le parole “pellicola” e “film” derivino rispettivamente dal termine latino per pelle e da quello dell’antico inglese per membrana. Tramite la pelle trasmettiamo la nostra immagine, guardandoci allo specchio la valutiamo e talvolta effettuiamo gli ultimi ritocchi, stendiamo del trucco o delle creme per rendere la pelle più lucida, oppure decidiamo di abbronzarci o di farci un tatuaggio o un piercing. Alcuni aspetti non sono però modificabili superficialmente e richiedono scelte più profonde: l’epidermide risente molto del nostro stile di vita e mostra gli effetti derivanti da un’alimentazione scorretta, dal fumo, dall’alcool o dalla mancanza di riposo e di sonno.

Ancora più in profondità sulla pelle si esprime il nostro vissuto emotivo. Traspare nelle mimica, sia nella parte che è sotto il controllo volontario, sia in quella, più grande, che invece gli sfugge. Comunichiamo sia la serenità di una pelle rilassata, sia le contratture dovute a rabbia, tristezza, paura, ansia, sconforto. L’imbarazzo genera arrossamento e, soprattutto nell’età adolescenziale, la difficoltà nel gestire pulsioni forti e nuove può trovare espressione nell’eccessiva produzione di sebo tipica dei brufoli, oppure nella concentrazione di melatonina propria delle lentiggini. Quando abbiamo paura su tutto il corpo può apparire la pelle d’oca. La pelle è anche memoria: sul volto si manifesta in solchi e rughe, che ci parlano di tristezza e di gioia; una mimica fortemente modificata con il Botox mostra la paura delle vecchiaia; le cicatrici raccontano le ferite; su tutto il corpo prolungati stati di stress, di preoccupazione, o di altre forti emozioni influenzano lo stato di salute. La pelle è come un grande archivio pieno di segni e di indizi, alcuni ben visibili, altri nascosti.

La saggezza popolare afferma che “la pelle è lo specchio dell’anima”, il lato più “sincero” del nostro corpo che racconta molto della nostra personalità, lo schermo sul quale raccontiamo le nostre storie più intime. Si usa dire “non stare più nella pelle” o “avere i nervi a fior di pelle”. La pelle è anche identità e, nel linguaggio comune, diviene sinonimo di sé nelle espressioni “avere la pellaccia dura”, nel timore di “lasciarci la pelle”, nella speranza di “portare a casa la pelle”. La pelle è comunicazione e in quanto tale agisce in due direzioni, trasmette e riceve. Il tatto è sempre contatto tra due superfici, se toccata la pelle trasmette informazioni, se tocchiamo riceviamo informazioni per mezzo dei recettori tattili, nel contatto tra due pelli la comunicazione è inevitabilmente bidirezionale. I modi di dire “a pelle mi sento che”, “a pelle direi che”, suggeriscono forse anche altre forme di ricezione epidermica. La pelle comunica anche attraverso gli odori corporali che trasuda e che, a seconda dei casi e dei contesti, possono essere percepiti come sgradevoli o piacevoli.

La pelle svolge un ruolo di primo piano nella seduzione e nella sessualità. Il tabù della nudità ne riserva alcune parti allo sguardo intimo e, insieme ai profumi emessi dalla pelle e alla sensazione tattile, stimola l’eccitazione. La si potrebbe dire il più grande e il più importante degli organi sessuali. Quando i desideri prendono la forma di “fantasie proibite” o sono ritenuti dei peccati, si usa chiamarli “pruriti”, a simboleggiare l’effetto prodotto da voglie o desideri inespressi o repressi dal proprio censore interno, e si parla di “una persona pruriginosa” o si afferma di “essersi tolti tutti i pruriti”.

Sicuramente, poiché la pelle ci contiene, ci separa e definisce la nostra identità (quantomeno quella corporale); ci mette in contatto con gli altri e allo stesso tempo ci protegge e ci isola; mantiene nei suoi solchi memoria del nostro vissuto; è strumento di comunicazione e, come se fosse “un’antenna”, trasmette informazione agli altri e da essi le riceve; la si può dire il nostro principale mezzo di relazione. Non stupisce quindi che le difficoltà relazionali, il conflitto con il mondo esterno e l’impossibilità di esprimere ciò che si ha nel profondo, si manifestino (ribellandosi alla diffusa tendenza a mascherare le emozioni), nel “linguaggio d’organo” della pelle: dermatiti, acne, herpes zoster, psoriasi, cellulite, prurito, o altro.

Naturalmente la pelle è anche un gigantesco biotipo nel quale vivono batteri, funghi, virus e parassiti. Come non avrebbe senso affermare che essi non abbiano il loro ruolo nella genesi delle malattie, non lo avrebbe però neppure sostenere che ne siano le uniche cause. Le infiammazioni e le infezioni influenzano e sono influenzate dal vissuto psichico, in una continua interazione. Sono sempre entrambe concause e ciò è quantomai vero per le malattie cutanee. Nei casi più lievi può essere sufficiente affrontare il disturbo anche da un solo approccio, si può perfino trarre beneficio dall’atto di amore verso se stessi rappresentato dal massaggiare il proprio corpo. Ma quando la problematica è più seria occorre intervenire.

Meglio ribadire che, parlando di disturbi psicosomatici e somatizzazioni, non si intende riferirsi a malattie fittizie o inventate. Mente e corpo sono in costante relazione tra di loro, si influenzano a vicenda: sia che ci si trovi davanti a un’iniziale causa organica complicata dallo stato di stress derivante, che stimolando la produzione di cortisolo favorisce l’infiammazione; sia che a partire da un difficile stato emotivo, a causa delle debilitazione immunitaria conseguente, si generi il terreno fertile per delle infiammazioni. Spesso è difficile risalire alla causa primaria di questo circolo vizioso e, a ben vedere, non sarebbe neppure di grande utilità terapeutica, poiché l’intervento è sempre bene che sia in sinergia tra medicina e psicologia.

Sul versante psicologico è utile lavorare su due piani. A un livello più superficiale si tratta di aiutare la persona ad affrontare la problematica con maggiore calma, accettazione del periodo difficile e fiducia nelle proprie capacità di recupero. Al contempo un lavoro più profondo andrebbe rivolto a comprendere gli aspetti simbolici del proprio disturbo. Nella prospettiva psicoanalitica l’io, non accettando alcuni vissuti emotivi dai quali si sente minacciato, ricorre inconsapevolmente a meccanismi di difesa che, a seconda di quale sia in azione, comportano distinte forme di reazione alla specifica circostanza. La somatizzazione (tra i meccanismi di difesa più primitivi e distanti dalla coscienza) sposta la problematica a un livello di stretta interconnessione tra psiche e soma e perciò si esprime con sintomi fisici.

Per questo motivo non va creduto che l’interpretazione del sintomo possa essere semplice e scontata. In commercio si trovano molti “manuali” che, banalmente, collegano una problematica alla sua più immediata interpretazione. Se fosse così semplice però si tratterebbe di una spiegazione facilmente accessibile anche alla coscienza del paziente, non di un linguaggio “altro” che sia al contempo psichico e somatico. Similmente a come non ha senso affermare, come fanno analoghi “manuali”, che sognare X significhi Y. La correlazione univoca tra significante e significato è propria di un segno, non di un simbolo. Non vanno confusi approcci per loro natura distinti: la medicina lavora con i segni, e infatti è corretto affermare che un certo sintomo sia segno della presenza di tale malattia; ma la psicologia lavora con i segni solo se fa diagnosi non quando si cala nel profondo, dove deve piuttosto confrontarsi con i simboli.

Un simbolo, per definizione, riunisce insieme molti significati, non è possibile conoscere a priori quale aspetto il caso specifico stia comunicando. Si può, sì, esplorare per prime alcune associazioni più generali, ma un lavoro di tipo razionale sui simboli è quasi sempre fuorviante. E un’interpretazione superficiale data al paziente e da questi accettata di buon grado è quasi certamente sbagliata e inefficace. Se si parte dal presupposto che, dalla prospettiva psicologica, il sintomo rappresenta degli aspetti di sé non integrati nella coscienza, è implicito che il paziente non li vede e perciò al loro svelarsi sarà inizialmente portato a negarli, a meno che la scoperta non rappresenti ai suoi occhi una vera e propria rivelazione. Non dobbiamo dimenticare che il messaggio psichico contenuto nel sintomo fisico è stato rifiutato dalla coscienza, se così non fosse non si sarebbe manifestato nel corpo. Il lavoro di integrazione del messaggio, grazie al quale eliminarne la causa, o meglio la componente psichica della causa, deve scendere più in profondità, ricercando cosa significhi il sintomo per l’inconscio della specifica persona.

Vero è che tra i sintomi psicosomatici (più precisamente a genesi primariamente psichica) più comuni figurano i disturbi della pelle. E in tali casi si può, sì, partire dal considerarne l’aspetto simbolico di limite e confine, e quindi di relazione, ma occorre poi aiutare il/la paziente a domandarsi che tipo di relazione sia per lui/lei. Rappresenta la relazione con una specifica persona, e nel caso quale; nei confronti di un gruppo di persone; rivolta alla società nel suo insieme; oppure riguarda la sua relazione interpersonale con parti di sé proiettate all’esterno? Cosa associa il paziente alla sua peculiare forma di disturbo, che potrebbe essere un arrossamento, un prurito, un gonfiore, o altro? Perché si manifesta in quella specifica zona corporea? Forse il viso simboleggia maggiormente l’immagine sociale di sé e potrebbe quindi essere associabile a un’eccessiva sensibilità al giudizio degli altri; il cuoio capelluto potrebbe rappresentare la presenza di “grattacapi”; un problema alle gambe potrebbe indicare il sentirsi limitati nei movimenti; e così via.

Forse, ma forse no: lo specifico paziente potrebbe associare alla determinata manifestazione significati completamente diversi ed è indispensabile avere sempre ben presente che, proprio perché si tratta di un linguaggio simbolico (non di segni), si lavora con un’individuo unico e irripetibile, anche nel modo peculiare in cui si ammala e nel significato che la sua sofferenza comunica a sé e agli altri.

Chiama
× Chat