Effetto gregge

Nel numero 121 della rivista mensile l’Altra Medicina è presente un mio articolo dal titolo “Effetto gregge”, nel quale presento alcune riflessioni sociali

Comprendere le dinamiche che spingono la cittadinanza a omologare il proprio comportamento a quello del gruppo.

Di seguito il testo:

​Effetto gregge

Ci è stato detto che le misure coercitive adottate per promuovere la vaccinazione Covid avevano l’obbiettivo di raggiungere il cosiddetto “effetto gregge”. Una valutazione epidemiologica sul raggiungimento di tale obiettivo non è certamente di mia competenza, da psicologo mi sento però di poter affermare che la trasformazione “in gregge” di gran parte della popolazione è stata raggiunta.

Non sono peraltro il solo a ritenerlo, e non mi sto riferendo ai tanto vituperati “complottisti” bensì al sito ufficiale del World Economic Forum sul quale, il 14 settembre del corrente anno, compare un articolo titolato “My Carbon: An approach for inclusive and sustainable cities”(Kumar & Kaushik, 2022) nel quale si può leggere che oggi i tempi sarebbero maturi affinché i cittadini accettino il monitoraggio e la limitazione dei propri consumi; ciò grazie anche all’acquisita consapevolezza degli effetti che le azioni individuali avrebbero sulle problematiche mondiali, da cui sarebbe derivata l’accettazione delle norme comportamentali e sociali formatesi durante la pandemia. L’articolo ripercorre a grandi linee una precedente pubblicazione scientifica edita su Nature Sustainability, da cui cito testualmente: “during the COVID-19 pandemic, restrictions on individuals for the sake of public health, and forms of individual accountability and responsibility that were unthinkable only one year before, have been adopted by millions of people.” Grazie a ciò, “people may be more prepared to accept the tracking and limitations related to PCAs [le quote personali di CO2] to achieve a safer climate1 (Fuso Nerini et al., 2021, p. 1027). In termini certamente meno entusiasti, ma sostanzialmente equivalenti, la popolazione è ritenuta adesso essere in gran parte maggiormente indirizzabile dal “cane pastore” di turno, e l’effetto gregge è servito.

Dai due articoli citati è stimato che l’emissione globale di CO2 sia prodotta al 75% dalle aree urbane, che di questa percentuale un 40% sia da ascrivere ai comportamenti dei singoli cittadini (il restante sarebbe imputabile alle infrastrutture) e che il monitoraggio e la limitazione di questi ultimi sarebbe pertanto indispensabile per fronteggiare il riscaldamento climatico. A tal fine il professor Francesco Fuso Nerini, direttore del KTH Climate Action Centre di Stoccolma, propone le cosiddette Personal carbon allowances, ovvero “quote personali di CO2”, che dovrebbero limitare l’insieme dei consumi (acquisti, viaggi, utenze, ecc.) concessi a ogni cittadino. Ognuno riceverebbe una quota prefissata di emissioni concesse, modulate ogni anno sulla base degli obiettivi nazionali, sotto forma di bonus necessari all’acquisto di beni e servizi. Al suo esaurirsi il cittadino non potrebbe più fruirne, a meno di acquistare ulteriori quote da chi, avendole risparmiate, gli vendesse le sue eccedenze. Per riuscirci Fuso Nerini e colleghi ritengono necessario: 1) aumentare i costi delle attività a alto consumo di CO2 e prevedere incentivi economici volti a ridurne la richiesta; 2) rendere più visibile l’impronta ecologica che ogni persona lascia e promuovere la consapevolezza dei limiti di consumo per ognuno disponibili; 3) ridefinire quella che può essere considerata la quota equa pro capite e adeguarla a livelli accettabili.

L’idea non è nuova, circola già da un paio di decenni, benché finora sia stata considerata inapplicabile, sia per difficoltà tecniche che di accettazione sociale. Oggi tuttavia la sua realizzazione sembrerebbe più realistica, non solo perché la popolazione sarebbe più propensa a seguire nuove norme comportamentali, ma anche grazie allo sviluppo della tecnologia (in particolare l’affermarsi delle intelligenze artificiali e delle blokchain) e all’aumentata consapevolezza della responsabilità individuale nei confronti del clima, promossa dai media e consolidata in special modo tra le giovani generazioni. Si potrebbe far notare che si tratta delle stesse generazioni che vivono perennemente connesse ai media digitali, che più che volentieri e frequentemente ricorrono ai voli Ryanair, che per prime sono cresciute con l’aria condizionata praticamente ovunque, e che mi domando come reagirebbero se, in virtù delle loro proteste per il clima, si dovessero davvero ritrovare qualche mese senza Netflix, Spotify, o altre comodità date per scontate. Ma è una riflessione che ci porterebbe troppo lontano dal tema di questo articolo, al quale pertanto ritorno.

In ogni tempo e luogo il potere, per raggiungere i suoi scopi, ha avuto la necessità che la popolazione si conformasse al comportamento richiestole. Ciò è ottenibile sia con mezzi coercitivi che persuasivi: i primi producono quello che viene chiamato conformismo pubblico, o acquiescenza; i secondi favoriscono l’adesione interiore e l’internalizzazione delle norme. Inutile dire che la seconda opzione è sempre stata la più desiderata, tuttavia fino all’epoca moderna, nella quale l’influenza dei media è diventata capillare, convincere la gran parte della popolazione a mutare un qualche comportamento era ben più difficile che imporlo. In un mondo siffatto la tirannide del regnante di turno era funzionale a dettare le politiche sociali desiderate e il dogmatismo religioso era efficace a stabilire le norme interiorizzate dalla popolazione; tuttavia l’obbedienza al potere politico spesso avveniva per timore, non per convinzione, mentre i principi religiosi erano interiorizzati in modo fin troppo stabile. Con l’era moderna, che ha dato “voce in capitolo” alla cittadinanza, nasce per il potere la necessità di convincere la popolazione, intervenendo per quanto gli è possibile sulla manipolazione dell’informazione, ed ecco che la stampa, e poi anche gli altri media, diventano il cosiddetto “quarto potere”. In breve tempo l’arte della persuasione diviene scienza e si iniziano a studiare le tecniche di propaganda e le condizioni che favoriscono l’accettazione del messaggio.

Il primo studio ufficialmente commissionato da un governo, quello statunitense, a un ricercatore, lo psicologo Kurt Lewin (1943), avevo lo scopo di individuare la modalità comunicativa più efficace per convincere la popolazione a modificare le proprie abitudini alimentari. Siamo nei primi anni ‘40 e la guerra in corso comporta che anche per il cittadino americano vi sia meno disponibilità dei tagli pregiati di carne cui è abituato, così un’apposita commissione governativa si propone di promuovere l’uso alimentare delle frattaglie. I comunicati di esperti che elogiano le caratteristiche nutrizionali delle frattaglie non sembrano tuttavia avere effetto, così la commissione si rivolge a Lewin, il quale scopre che il cambiamento alimentare è più probabile se le massaie, al tempo uniche responsabili in cucina, si sentano coinvolte nella discussione riguardo a se mangiare o meno frattaglie.

Oggi chi si occupa di psicologia della persuasione è a conoscenza di numerose strategie che influenzano l’accettazione del messaggio e spesso le utilizza in sinergia. Un chiaro esempio ci è stato offerto dalla comunicazione attuata in tempi di Covid che ha ricorso a un sapiente misto di: coercizione, appelli alla paura, comunicati di esperti (o presunti tali), testimonial, influenser e la cosiddetta “peer pressure”, ovvero la pressione a conformarsi ai comportamenti del gruppo di appartenenza, o col quale ci si identifica, per timore dell’esclusione sociale. Di molte di queste tecniche ho già parlato in un articolo apparso nel numero 117, cui rimando. Qualche riga in più vorrei aggiungerla sul bisogno di appartenenza, che nella nostra specie è forte, e che può abilmente essere sfruttato mostrando un video di coetanei felici di adeguarsi ai cambiamenti richiesti. Ne abbiamo visti molti legati al seguire le restrizioni, all’indossare la mascherina e alla vaccinazione. Poiché il metodo funziona molto bene si è consolidato anche per il nuovo leitmotiv, il risparmio energetico. Ad esempio sul sito del comune di Verbania2 è apparso un video dal titolo “Energy Rap” che mette in musica l’entusiasmo mostrato da quattro studenti per alcuni accorgimenti di risparmio energetico. Colpisce la prima strofa: “l’han detto ieri in televisione”, a presunta validazione dell’intero messaggio.

Ma, si potrebbe obiettare, che male c’è a promuovere dei comportamenti stimolando la tendenza imitativa, o anche con mezzi più forti, se è per un fine nobile? Prima di parlare del fine e della sua relazione con i mezzi, focalizziamoci un attimo su questi ultimi. La prima cosa da evidenziare è che non esistono mezzi neutri: ogni mezzo comporta delle conseguenze, chiamiamoli degli effetti collaterali. Per fare un esempio, il fine di risolvere una controversia può essere perseguito con il dialogo, per vie legali o ricorrendo alle armi e, pur supponendo che lo si consegua comunque, ogni modalità comporterà delle specifiche conseguenze. Similmente, tentare di persuadere qualcuno ricorrendo al pensiero critico o all’imitazione comporta delle conseguenze che prescindono dal fine. L’abitudine al pensiero critico dovrebbe essere per definizione propria dell’essere umano, tra le sue più alte capacità; l’imitazione è invece propria anche e sopratutto delle scimmie.

L’esplicita affermazione del WEF che la popolazione sia oggi maggiormente incline a accettare nuove limitazioni, dopo averne accettate di un tempo ritenute inimmaginabili, implica che la popolazione si è abituata a considerarle possibili e normali. Spostare l’orizzonte del possibile non è tuttavia necessariamente un male, in fondo se la nostra società occidentale non avesse mutato i confini di ciò che un tempo riteneva fattibile non avremmo avuto il Rinascimento, l’Illuminismo, o altri processi storici di cui oggi siamo fieri. A far rabbrividire chi non aderisce alla narrativa dominante non è di per sé la possibilità di cambiamento, bensì le modalità con cui viene proposto e imposto. La storia recente ci ha dimostrato che l’insieme delle strategie adottate negli ultimi anni è il più efficace al fine di promuovere l’accettazione del messaggio (e la psicologia ci ha spiegato perché). Il prezzo sociale di tali strategie consiste però nel plasmare una popolazione sempre meno critica e sempre più “gregge”. Una società divenuta meno critica accetta con maggiore mansuetudine le imposizioni e è più propensa a fare suo il pensiero e il comportamento richiesti dal “capobranco”, e seguiti della maggioranza, sia per puro senso imitativo sia per timore dell’ostracismo riservato a chi non si adegua. Anche supponendo che si tratti di un prezzo tollerabile, o perfino desiderabile, poiché il fine giustificherebbe i mezzi, rimarrebbe la domanda su chi, o cosa, giustifichi il fine.

Al tempo delle aristocrazie le politiche sociali, giuste o sbagliate che fossero, erano decise dai re, i principi, i duchi o i conti. Con l’affermarsi degli stati moderni le decisioni sono passate ai governi e ai parlamenti, almeno teoricamente espressione della volontà popolare. Si potrebbe anche distinguere tra dittature, regni e democrazie ma al fine di questa riflessione, per rilevare che nessuna forma di governo può, di per sé, mettere al riparo dai “mostri provocati dal sonno della ragione”, è sufficiente ricordarsi che l’ascesa al potere del partito Nazionalsocialista è avvenuta, a mezzo di libere elezioni, nella democratica repubblica di Weimer. La società contemporanea presenta anche altri rischi e in particolare quello che il sociologo e politologo Colin Crunch (2004) ha definito “postdemocrazia”. Nel saggio omonimo l’autore evidenzia che oggi, anche se continuano a esserci elezioni che hanno il potere di cambiare i governi, “behind this spectacle of the electoral game politics is really shaped in private by interaction between elected governments and elites which overwhelmingly represent business interests”, anche in virtù del fatto che “the mass of citizens plays a passive, quiescent, even apathetic part, responding only to the signals given them3 (p. 4). La democrazia, da rappresentativa, appare troppo spesso essere diventata una rappresentazione, nella sua accezione teatrale. Quale reale margine decisionale rimane difatti ai governi a fronte delle pressioni finanziarie, come ad esempio quelle ricevute delle agenzie di rating, o nei confronti delle direttive provenienti da enti sovranazionali, come l’OMS o il WEF, i cui componenti, vale la pena sottolinearlo, non sono stati eletti con alcun processo democratico?

E se – dico solo “se” – tali enti non agissero, o in un ipotetico futuro, una volta ricevuta la delega in bianco da parte della gran parte della popolazione mondiale, non dovessero agire con buone intenzioni e per il bene di tutti, in che modo la società potrebbe proteggersi? Ignorare la domanda, ritenendo che “non potrebbe mai accadere”, è il modo più sicuro per contribuire alla condanna a morte di quei valori di libertà cui, ufficialmente e spesso con malcelata ipocrisia, quasi tutti dichiarano di credere.

Riferimenti Bibliografici

Crouch, C. (2004). Post-democracy. Cambridge: Polity Press

Fuso Nerini, F., Fawcett, T., Parag, Y., & Ekins, P. (2021). Personal carbon allowances revisited. Nature Sustainability, 4(12), 1025–1031. https://doi.org/10.1038/s41893-021-00756-w

Kumar, K., & Kaushik, M. (2022, September 14). “My Carbon”: An approach for inclusive & sustainable cities. World Economic Forum. https://www.weforum.org/agenda/2022/09/my-carbon-an-approach-for-inclusive-and-sustainable-cities/

Lewin, K. (1943). Forces behind food habits and methods of change. Bulletin of the National Research Council, 108, 35-65.

1 In italiano: “durante la pandemia di COVID-19, restrizioni agli individui per il bene della salute pubblica e forme di responsabilità e responsabilizzazione dell’individuo che sarebbero state impensabili anche solo un anno prima, sono state accettate da milioni di persone.” grazie a ciò “per un clima più sicuro, le persone potrebbero essere più pronte ad accettare il tracciamento e le limitazioni relative alle quote di CO2”.

3 In italiano: “al di là dello spettacolo del gioco elettorale, la politica è in realtà plasmata in privato dall’interazione tra i governi eletti e le élite che rappresentano quasi esclusivamente gli interessi economici”, anche in virtù del fatto che “la massa dei cittadini svolge un ruolo passivo, acquiescente, persino apatico, limitandosi a reagire ai segnali che riceve”.

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