Il lato oscuro del sé

Nel numero 127 della rivista mensile l’Altra Medicina è presente un mio articolo dal titolo “Il lato oscuro del sé”, nel quale presento alcune riflessioni sociali

Forse la realtà non è lotta tra bene e male, o tra parti di sé che ci piacciono o non ci piacciono, bensì integrazione di tutti gli aspetti dell’esistenza.

Di seguito il testo:

Il lato oscuro del Sé

Molti immaginano che la realtà sia un’eterna lotta tra il bene e il male, tra il cielo e le tenebre. Una visione che, se estrema, si chiama manichea. Il Manicheismo, come religione, è scomparso da secoli, mentre gode invece di ottima salute la tendenza manichea a considerare la realtà come dipendente dall’azione di due principi o enti opposti, tra cui esiste un contrasto insanabile. Al suo opposto la visione taoista, simbolizzata dal noto simbolo del tao, ritiene che non ci sia, né possa esserci, bene senza male, né male senza bene. Le due distinte visioni di come sia la realtà esterna trovano naturale analogia in come noi stessi si ritiene di essere, o di dover essere.

A un primo livello, la trasposizione in sé della lotta tra il bene e il male, si limita al domandarsi da che parte vorremmo schierarci. In questo modo di vedere, con facilità si finisce col credere che noi si sia scelto il bene e altri, non sempre ben definiti, siano dalla parte del male. Più spesso ancora, piuttosto che scegliere una fazione e seguirne le supposte regole, è frequente credere che noi già si sia dalla parte del bene, che si pensi e agisca sempre nel modo corretto, e che in errore sia chi pensa o agisce diversamente.

Per quanto diffusa, questa è naturalmente una visione estremamente ingenua. Non solo perché si arroga di sapere meglio degli altri come stanno le cose, ma anche e soprattutto perché guarda agli esseri umani come entità monolitiche, prive di sfaccettature. Un riduzionismo cha appiattisce a un unico livello dicotomico, nel quale ogni essere umano è o buono, o cattivo. Solo che non esistono gli esseri umani tout court buoni o cattivi ma, più realisticamente, siamo tutte persone al contempo buone e cattive, a seconda del momento, del contesto, del riferimento valutativo, eccetera. Ovvio che esistono le sfumature, che alcuni si comportano meglio di altri in alcune situazioni, che le differenze esistono. Non intendo fare di tutta l’erba un fascio, ma rilevare che la visione taoista si presta meglio di quella manichea a descrivere il proprio mondo interiore, nel quale convivono aspetti di sé eterogenei.

Prendendo atto che in noi convivono più aspetti si scende a un livello di analisi più profondo, dove però non si dovrebbe riprodurre lo sbaglio di credere che alcune parti di noi siano buone e altre cattive. A onor del vero nell’errore si sarebbe in buona compagnia, infatti fin dagli inizi della ricerca psicologica non sono mancati autori, per altri versi grandissimi, che hanno ceduto alla tentazione di applicare la loro più o meno consapevole visione manichea della realtà al nostro mondo interiore. Lo stesso Freud è stato fautore della supposta necessità di favorire il dominio della coscienza sull’inconscio o, in termini successivi, dell’Io sull’Es (che per quanto non siano costrutti sovrapponibili a conscio e inconscio ripropongono gli aspetti di principale sede delle coscienza e di istanza totalmente inconscia). Scrive Freud (1932, p.190): “Dove era l’Es, deve subentrare l’Io. Un’opera di civiltà, come, ad esempio, il prosciugamento dello Zuiderzee”, il mare che una volta sommergeva buona parte dell’Olanda, poi prosciugato tramite un sistema artificiale di dighe, consegnando all’uomo nuove terre coltivabili.

In tal modo però la lotta tra il bene e il male è spostata dentro di sé. In una guerra interna, tra sé e sé, qualunque parte sia vincitrice (sempre ammesso che ciò sia possibile) ne risulterà che l’individuo stesso dovrà poi fare i conti con le macerie. Poiché il fatto che non si sia entità monolitiche, bensì organismi composti da più parti, non implica che non si sia anche degli individui. La contraddizione è solo apparente, frutto del confondere piani di analisi che sono e dovrebbero rimanere distinti. Nella visione medica non ci sono dubbi che una persona abbia una sua unità, né che sia composta da più organi. Sarebbe inoltre quantomeno bizzarro presumere che, ad esempio, il fegato sia buono e i polmoni cattivi, o qualsiasi altra assurda contrapposizione possa venire in mente. Ogni organo fa parte di noi e ha la sua ragione di esistere. A volte un organo può comportarsi in un modo che noi giudichiamo sbagliato ma non arriveremmo mai a pensare che l’organo in sé sia cattivo.

Alcune visioni psicologiche non si fanno invece remore a ritenere che in noi vi siano aspetti intrinsecamente e esclusivamente buoni e cattivi. Una diffusa idea popolare distingue tra quello che chiama testa (ragionamenti), cuore (sentimenti) e pancia (emozioni) e banalizza la distinzione con sentenze tipo “la mente mente”, “il cuore ha sempre ragione”, “bisogna agire di pancia”, o altre versioni. Una mappa di noi che differenzia tra ragione, sentimenti e emozioni, per quanto semplificata, è sostanzialmente corretta; ad essere fallace è però l’idea che uno qualsiasi di questi aspetti sia migliore di un altro. Così come, ad esempio, lo stomaco, il fegato, il pancreas e l’intestino sono tutte strutture essenziali al processo digestivo e non avrebbe senso affermare che così non dovrebbe essere, in modo analogo ragione, sentimenti e emozioni sono tutte funzioni psichiche necessarie che, per lavorare correttamente, devono integrarsi, non essere viste come fazioni tra cui scegliere la preferita.

Inoltre bisognerebbe sempre ricordare che, come ben espresse l’ingegnere e filosofo Alfred Korzybski (1933, p.58), “a map is not the territory it represents”. Una rappresentazione della psiche umana che si limita a distinguere tra ragione, sentimenti e emozioni non è errata ma è tanto semplicistica quanto lo sarebbe una cartina geografica che riportasse unicamente una diversa rappresentazione grafica per differenziare tra i mari, la terra ferma e i corsi d’acqua. La sua utilità sarebbe alquanto limitata, si perderebbero non solo i confini nazionali, ma anche le informazioni sull’altimetria, la vegetazione, l’urbanizzazione, la rete stradale, e tanti altre aspetti. Ovvio che ogni mappa è necessariamente una semplificazione, il punto però è che, corretta o meno che essa sia quanto alle informazioni che riporta, non la si dovrebbe mai confondere con la realtà. Consapevolezza che dovrebbe valere anche per la psiche. Tenendo ciò ben a mente, possiamo cercare rappresentazioni psichiche che, per quanto inevitabilmente incomplete, ci forniscono maggiori dettagli.

Una rappresentazione di sé molto ricca è certamente quella junghiana. In essa, innanzitutto “Sé” non è sinonimo di “Io”, bensì il nome dato da Jung all’interezza della nostra psiche, mentre l’Io non è che una della sue parti, e neppure la più importante. A ben vedere solo il Sé, in quanto totalità, lo si può considerare più importante di altri aspetti della psiche, un po’ come si potrebbe dire che l’individuo è più importante dei suoi organi, anche se non si dovrebbe dimenticare che senza alcuni di essi non ci sarebbe alcun individuo. Jung distingue tra molte parti del Sé, anche se non si deve guardare a esse come se fossero delle tassonomie, poiché col mutare della prospettiva da cui si osservano vi sono alcune sovrapposizioni. Ad ogni modo, semplificando molto, una sua distinzione è tra Persona e Ombra. Non è adesso necessario soffermarsi su cosa rappresentino nel pensiero junghiano gli archetipi, i complessi, la Persona, l’Anima, l’Animus, o l’Io. Addentrarvisi ci porterebbe troppo lontano. Piuttosto concentriamoci sul concetto di Ombra.

Eccolo il lato oscuro del Sé, l’Ombra che, non essendo illuminata dalla coscienza, ha per quest’ultima molti spetti che le sono oscuri. Oscuro significa innanzitutto che non è illuminato e ciò che non lo è non ci è noto, è misterioso e per il fatto di esserlo può a volte spaventare fino al punto di considerare l’oscurità stessa la sede del male. Questo è un ragionamento apparentemente logico che tuttavia, guardando meglio, si rivela essere nient’altro che un sillogismo sofistico. Da un lato è vero che gli aspetti di noi che non conosciamo possono inconsciamente portarci a comportamenti “sbagliati” e dovremmo pertanto impegnarci a conoscerli meglio, per crearci un dialogo piuttosto che negarli e in tal modo lasciarli agire indisturbati; dall’altro però non ha senso ritenere che ciò che non si conosce sia necessariamente foriero di aspetti negativi. Tutt’altro.

Con le parole di Jung (1940, p. 84), “l’ombra rappresenta solo qualcosa di inferiore, primitivo, inadatto e goffo e non è male in senso assoluto. Essa comprende fra l’altro delle qualità inferiori, infantili e primitive, che in un certo senso renderebbero l’esistenza umana più vivace e più bella; ma urtano contro regole consacrate dalla tradizione”. E anche (1982, p. 251), “Se finora si pensava che l’Ombra umana è la fonte di ogni male, si può adesso, a un’indagine più precisa, scoprire che l’uomo inconscio, l’Ombra, non consiste solo in tendenze moralmente riprovevoli, ma presenta anche una serie di buone qualità, istinti normali, reazioni appropriate, percezioni realistiche, impulsi creativi ecc. A questo livello di conoscenza, il male appare piuttosto come distorsione, deformazione, erronea interpretazione e indebita applicazione di fatti in sé naturali”.

Credo pertanto che la cieca guerra contro l’oscurità non abbia alcun senso. Alcuni aspetti di noi possono e dovrebbero essere portati a coscienza, il che però non significa che dovrebbero essere sopraffatti, negati o rimossi ma che, consci della loro esistenza dovremmo riconoscergli in noi cittadinanza e in tal modo aprirci un dialogo. Esistono però anche aspetti di noi che non possono essere portati a coscienza. L’inconscio non è una palude che dovrebbe essere bonificata, come scriveva Freud alludendo allo Zuiderzee. E la lotta contro l’oscurità è lungi dall’essere una guerra santa. Meglio sarebbe deporre le armi contro un nemico supposto tale più per ignoranza che per cognizione di causa.

Meglio specificare, a scanso di equivoci, che la mia affermazione non vuole perorare l’altrettanto perigliosa tesi che noi si vada già bene così come siamo. La smania di semplificare e di voler giungere a conclusioni affrettate passa spesso da dicotomie che, per loro natura, sono quasi sempre fallaci, essendo la complessità della realtà quasi mai riconducibile a due sole polarità. Pertanto, ribadisco, un lavoro su di sé è necessario, come è necessario cercare di comprendere il meglio possibile gli aspetti di noi in ombra. Solo che la comprensione non dovrebbe essere confusa con la lotta. Tanto più che, assumendo atteggiamenti meno bellicosi, può anche capitare che alcuni degli aspetti mostruosi che pensavamo fossero in noi, o in altri esseri umani, non sono in realtà dei mostri. E anche se comunque lo fossero, ciò non significa che siano cattivi come li si rappresenta. In fondo il termine “mostro”, dal latino monstrum, ha come suo significato etimologico quello di “prodigio, portento”. Siamo noi, per paura, a voler caratterizzare come negativo ciò che appare diverso dall’ordinario.

In conclusione, l’oscurità in noi esiste. Meglio però sforzarsi di conoscerla senza pregiudizi e tentare di aprirci un dialogo. Il che è sempre più proficuo che entrarvi in guerra.

Bibliografia lato oscuro di Sé

Freud, S. (1932). Introduzione alla psicoanalisi (Nuova serie di lezioni). tr. it. (1987) OSF vol. 11. Torino: Bollati Boringhieri.

Korzybski, A. (1933). Science and sanity. An introduction to non-Aristotelian systems and general semantics. Oxford, England: International Non-Aristotelian Libr.

Jung, C. G. (1940). Psicologia e Religione. tr. It (1979) in Opere vol 11. Torino: Boringhieri.

Jung, C. G. (1951). Aion. Ricerche sul simbolismo del sé. tr. It (1982) in Opere vol 9/2. Torino: Boringhieri.

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